Oggetto della devozione, ma anche della superstizione popolare, San Cesario è uno dei personaggi dell’immaginario dei vastesi. Conservate in una teca in vetro esposte nella cripta realizzata sotto l’altare di Santa Maria Maggiore alla metà dell’Ottocento su progetto di Nicola Maria Pietrocola, le spoglie del martire sono addobbate con le vesti di un soldato romano, con tanto di elmo, calzari e gladio. Lo scheletro non è adagiato, come solitamente avviene quando le reliquie del martire vengono poste in una teca, ma appare seduto, appoggiato ad un cuscino e quasi nell’atto di alzarsi. Il volto è ricoperto da un sottile velo, un tempo forse dipinto con lineamenti umani. Il capo è cinto da una corona di fiori e da un’aureola in filo di ferro. Le braccia sono sollevate: la sinistra regge l’ampolla vitrea con il sangue, mentre la destra la palma del martirio.

I grandi pilastri che dividono la navata centrale dalle due navate laterali presentano nicchie con le statue degli evangelisti, realizzate nella sistemazione ottocentesca, insieme agli affreschi presenti negli ovali ricavati nelle chiavi delle volte a botte. Avvicinandoci alla zona absidale, sulla sinistra notiamo il bel pulpito ligneo dell’ebanista vastese Angelo Raspa.

La zona absidale dell’interno di Santa Maria Maggiore è sopraelevata.

Vi si accede con dei gradini al centro dei quali si apre la scala che porta alla cripta di San Cesario, protetta da una bella balaustra in marmo di metà Ottocento. Un’altra balaustra marmorea, questa volta settecentesca, divide il presbiterio dalla navata. Santa Maria è priva di transetto, per cui la cupola, piuttosto bassa, ma molto ampia, si apre al di sopra dell’abside. Lo spazio architettonico è maestoso e sottolineato dalla grande finestra absidale esposta a sud, da cui di giorno entra un grande fascio di luce che illumina potentemente la scena.

L’abside è impreziosita da due grandi tele di Francesco Solimena, il grande pittore barocco del primo Settecento: sulla sinistra “La Pentecoste”, sulla destra “La presentazione del camauro a Papa Celestino V”. Sulla sinistra dell’altare Maggiore, in prossimità del coro ligneo ottocentesco, è collocato un prezioso organo portatile risalente al 1719, opera di Domenico Mangino, originariamente situato presso il convento di Sant’Onofrio. Tornando indietro verso la navata, in cima alla scalinata, si aprono gli accessi alle due sacrestie. Quella della navata di destra è dedicata al clero e ospita due tele del settecento: “Benedizione di Isacco” e “Agonia di Gesù nell’orto”, mentre quella in cima alla navata sinistra è dedicata alla Confraternita della Sacra Spina e ospita un coro ligneo del Settecento.

Percorriamo la navata di sinistra, ora alla nostra destra. Siamo in uno scenario completamente diverso da quello della navata centrale, poiché privo di fonti di quella luce naturale che invece abbonda nella grande navata principale. In cima alla navata troviamo un dipinto settecentesco raffigurante San Filippo Neri e l’Ecce homo attribuito alla scuola del Tiziano. Dopo la cappella del Sacro Cuore, con affreschi del primo novecento, troviamo il dipinto della Madonna della Neve, precedentemente presso l’omonima chiesa distrutta dalla frana del 1816, e fra il secondo il terzo pilastro, lo “Sposalizio di Santa Caterina”, massimo capolavoro della chiesa, dipinto da Paolo Veronese nella seconda metà del Cinquecento. Alla base della navata, si apre la cappella del Gonfalone, oggi dedicata alla Madonna del Rosario, unico residuo della struttura medievale della chiesa, con il dipinto cinquecentesco della Madonna del Gonfalone.

Attraversando la navata centrale ci spostiamo ora alla base della navata destra, anch’essa cieca e caratterizzata originariamente da una funzione sepolcrale. Qui, infatti, troviamo le sepolture di alcuni personaggi storici importanti. In particolare, in corrispondenza del terzo pilastro, troviamo il tempio funebre del Conte Venceslao Mayo, amministratore dei beni dei d’Avalos e mentore del giovane Gabriele Rossetti, morto nel 1811 e qui ricordato in un sepolcro ricco di simboli massonici. In corrispondenza del pilastro successivo è invece la tomba di Inigo III d’Avalos. Di fronte ad essa una nicchia, decorata con marmi pregiati e chiusa da due ante bronzee, fatta eseguire nel 1647 da Diego d’Avalos per custodire la Sacra Spina. La preziosa reliquia oggi non è più collocata in questo sacello, ma viene conservata invece nella cappella omonima al termine della navata, realizzata fra il 1921 ed il 1933 su progetto dell’architetto Roberto Benedetti.